La Demenza di Alzheimer: aspetti neuropsicologici e comportamentali - Psicologo Prato Iglis Innocenti

La Demenza di Alzheimer: aspetti neuropsicologici e comportamentali

Da anni mi occupo di valutazione e riabilitazione neuropsicologica con pazienti aventi diverse disabilità cognitive conseguenti ad una lesione anatomo-funzionale al cervello (es., traumi cranici, malattie degenerative e/o metaboliche etc.).
Fra le diverse forme di deficit cognitivo con cui mi sono confrontato, quello correlato alla malattia di Alzheimer è senza dubbio il più frequente che ho trattato nel mio studio a Prato.

La malattia di Alzheimer e i Deficit di Memoria

La malattia di Alzheimer è una demenza ad esordio insidioso (cioè lento) che va sospettata ogni qual volta una persona (mediamente sopra i 60 anni) presenti dei disturbi di memoria lentamente ingravescenti, che arrivano ad interferire con le attività della vita quotidiana, a cui si aggiungono in breve tempo altri disordini di natura cognitiva e/o psichiatrica.
Ad esempio, molti pazienti che ho incontrato, e che in seguito hanno avuto una diagnosi di Alzheimer, ad un primo colloquio riportavano difficoltà nel rievocare piccoli avvenimenti quotidiani (cosa si deve fare, messaggi telefonici, commissioni da svolgere etc.), accompagnate spesso dalla difficoltà di utilizzare, nel linguaggio spontaneo, i nomi appropriati in riferimento a oggetti noti, con un incremento dell’uso di termini “indefiniti” o “pass-partout” (questo, quello, cosa).
Questi disturbi si configurano all’inizio come una particolare smemoratezza; il disordine mnestico iniziale dei malati di Alzheimer si configura come un disturbo episodico di natura prevalentemente anterograda (riferite a cose nuove da ricordare).
Ricordo una donna di 67 anni che, durante l’anamnesi, raccontava di non essere stata in grado di ricordare la strada per tornare a casa con l’auto, oltre che ad una serie di altre lacune mnesiche riguardanti date e mansioni (es., fare la spesa o dove riponeva gli oggetti come la borsa).
Il disturbo di memoria peggiora lentamente e progressivamente fino a compromettere ricordi del passato. Ad esempio, il paziente alzheimeriano presenta un deficit abbastanza precoce della memoria autobiografica che viene rilevato dagli stessi congiunti. Il disturbo di memoria ha in questo caso diverse sfaccettature: può presentarsi come una serie di ricordi confusi sul proprio passato o come una trasposizione di eventi e persone di un’epoca lontana, che hanno fatto parte della vita del paziente al periodo presente. I familiari di questi pazienti molto spesso mi descrivono l’effetto paradossale del funzionamento della memoria che osservano nei propri cari malati: la particolare difficoltà che mostrano nel ricordare cose fatte nell’ultimo periodo (ad esempio, settimane o pochi mesi, se non addirittura pochi giorni prima), in contrasto con la capacità di avere ricordi lontanissimi nel tempo, come ad esempio la maestra delle elementari o un vecchio compagno di scuola.
Questa dissociazione temporale recente/lontano stupisce, ma sta proprio qui il problema: la malattia di Alzheimer colpisce progressivamente i ricordi più recenti fino ad arrivare, per ultimi, a quelli più remoti.
Un volta, in un reparto di neurologia, incontrai una paziente di 70 anni, la quale era in grado di raccontarmi con dovizia di particolari alcuni episodi della sua vita da giovane, come ad esempio il giorno del matrimonio con il marito oramai scomparso, nonché le gite che faceva in montagna con il padre e la madre quando era piccola. La cosa ancor più sorprendente era la sua capacità di emozionarsi ancora nel raccontarli, nonché la lucidità e la chiarezza con cui venivano narrati. Ma quando le leggevo un piccolo brano di 5 righe chiedendole poi di ripetermelo, lei riusciva a rievocare appena 5/6 parole, per poi scordarselo completamente dopo soli 15 minuti dall’ultima lettura.

Malattia di Alzheimer: I deficit oltre ai disturbi di memoria

Il profilo cognitivo della malattia di Alzheimer presenta, oltre a quelli di memoria, altri deficit, fra cui spiccano i disturbi del linguaggio orale e scritto, le aprassie, sia ideo-motoria sia ideativa e le agnosie.
L’aprassia si riferisce ad una incapacità da parte di un soggetto nell’eseguire un gesto qualora questo venga richiesto dall’esaminatore, incapacità non giustificata da alcun difetto di moto, di senso o di coordinazione.
La frattura nell’organizzazione gestuale può avvenire per due ragioni: o perché il paziente non sa cosa deve fare, non riesce quindi a rappresentarsi mentalmente il gesto da compiere (aprassia ideativa), o perché egli non è in grado di tradurre la sequenza motoria che ha in mente in un corretto movimento, non sa, cioè, come fare (aprassia ideo-motoria).
I pazienti con questo tipo di demenza presentano un deficit denominato agnosia, per cui questi pazienti hanno difficoltà di riconoscimento di stimoli comuni (come oggetti, fisionomie, suoni caratteristici, lettere dell’alfabeto etc.).
Negli Alzheimer, il disturbo di riconoscimento di stimoli comuni raramente si impone sugli altri; se non specificatamente richiesto, di regola passa inosservato.
I difetti più comunemente palesati da chi soffre di Alzheimer risultano dalla compromissione del riconoscimento fisionomico (cioè, delle facce note per una precedente consuetudine: prosopagnosia), di quello dei segni grafici convenzionali (alessia agnosica) e in quello degli oggetti comuni (agnosia visiva).
Il disturbo si dimostra sia sotto la forma dei banali errori o dell’incapacità a denominare, sia con comportamenti errati conseguenti al mancato riconoscimento, come il verificarsi di errori d’uso o manipolazione di oggetti e lo svolgersi di inappropriati convenevoli di riconoscimento nel caso delle fisionomie.
Un disturbo comunissimo negli alzheimeriani, altrettanto precoce e spesso per molti mesi solo saltuario, è quello del disorientamento topografico.
I pazienti Alzheimer, nel corso della evoluzione della patologia, dimostrano di utilizzare sempre peggio le informazioni topografiche (cioè, i rapporti spaziali tra loro e rispetto a se stessi), dapprima solo quando le circostanze richiedano di apprendere nuovi percorsi (ad es. letto-gabinetto, e viceversa, in una corsia d’ospedale), successivamente, a distanza di mesi o anni, compaiono anche disturbi relativi alla rievocazione di percorsi ben conosciuti.
Un deficit da danno dell’emisfero destro assai meno precoce, soprattutto nei termini di un comportamento stabile, è quello conseguente ai difetti di analisi visuo-percettiva. Questo si rende evidente ovviamente ogni qualvolta le circostanze richiedano al paziente di discriminare, generalmente per poi riconoscere e identificare, configurazioni tra loro strutturalmente molto simili.
Dove il disturbo diventa particolarmente vistoso è quando il paziente non sa più discriminare (evocandone il ricordo dal passato) un volto familiare da uno sconosciuto (prosopagnosia) e, nel caso che il primo riconoscimento fosse ancora riuscito (giudizio di familiarità), di non sapere più identificare la corrispondente persona (ad es. il nome, la categoria professionale o parentale ovvero la rete delle relative associazioni semantiche etc.); tardivamente, dopo circa il sesto-ottavo anno di evoluzione, alcuni pazienti perdono stabilmente la capacità di riconoscere anche se stessi allo specchio, addirittura di riferire ad un fenomeno riflesso la propria immagine, anche se in movimento e comprendente la persona intera con ognuno dei suoi innumerevoli e specifici attributi percettivi, anche extra-fisiognomici.

Esame neuropsicologico ed obiettivi riabilitativi nella malattia di Alzheimer

L’esame neuropsicologico si prefigge l’obiettivo di misurare e quantificare in modo dettagliato i sintomi che si riscontrano nelle varie forme di demenza.
Inoltre, la riabilitazione cognitiva in questi casi può dimostrarsi un valido percorso al fine di massimizzare le funzioni cognitive e comportamentali residue della persona colpita da demenza: l’obiettivo, in questi casi, è garantire per il periodo più lungo possibile l’autonomia del paziente nell’adattamento al proprio ambiente (emotivo, fisico e relazionale).

Bibliografia

  • Lezak, M.D. (1995). “Neuropsychological Assessment” (3nd ed.). New York: Oxford University Press
  • Spinnler, H. “La malattia di Alzheimer” in Manuale di neuropsicologia. Normalità e patologia dei processi cognitivi. Dennes, G., et Pizzamiglio, L. (a cura di) (1996). Zanichelli, Bologna
  • Spinnler, H., et Della Sala, S. “Il concetto di demenza e l’approccio diagnostico ad essa” in Manuale di neuropsicologia. Normalità e patologia dei processi cognitivi. Dennes, G., et Pizzamiglio, L. (a cura di) (1996). Zanichelli, Bologna