Psicologia del silenzio - Psicologo Prato Iglis Innocenti

Psicologia del silenzio

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Hello darkness, my old friend
I’ve come to talk with you again
Because a vision softly creeping
Left its seeds while I was sleeping
And the vision that was planted in my brain
Still remains
Within the sound of silence

 

Queste immarcescibili parole tratte dal capolavoro di Simon & Garfunkel, The Sound of Silence, ci ricordano il potere del silenzio.

Il silenzio è, di fatti, una forma della comunicazione umana davvero molto potente.

Sembra paradossale: uno spazio comunicativo in cui non ha residenza la parola! Eppure, non c’è cosa più rumorosa del silenzio diceva il poeta. Oppure, se parliamo con un musicista, egli ci dirà quanto siano fondamentali le pause per qualsiasi brano!

Di fatti, il silenzio comunica sempre qualcosa. Solo che è necessario avere la disponibilità per decodificarlo.

Invece, molto spesso, il silenzio imbarazza, crea ansia, preoccupa. Pertanto, ci sentiamo in obbligo di riempierlo. Alle volte con discorsi banali, oppure facendo rumore in varie modalità.

Se, però, accolto e capito, il silenzio sarebbe altamente comunicativo. Ricco di informazioni, prodigo di significati personali. Qualcosa che veicola aspetti profondi di una persona, che probabilmente nemmeno la parola riuscirebbe ad esprimere.

 

I diversi volti del silenzio

Il silenzio può avere vari significati.

Può essere utilizzato per rilassarsi: chiudiamo gli occhi e non parliamo, così  da dare ristoro alle nostre stanche membra!

In altri contesti, il silenzio è la diretta conseguenza di una nostra incapacità a rispondere (devo ammettere che i miei silenzi durante le interrogazioni di matematica erano leggendari!!).

Volendo scavare un po’ di più, spesso il silenzio viene usato come un’arma. Come una sorta di manipolazione nei rapporti con gli altri.

Un esempio. Il vostro partner si è scordato l’anniversario. Voi che fate? Vi indignate esprimendo la vostra delusione? Piangete e andate a muso duro in faccia al vostro “dimentico partner”? Oppure mettete il broncio, e state nell’altra stanza senza dire una parola?!

Bene, questo uso del silenzio è una modalità coercitiva. State, in altre parole, comunicando al vostro partner che siete arrabbiati senza dirlo, facendo però di tutto perché l’altro se ne accorga. Togliendo il saluto, non reagendo, oppure adottando un linguaggio telegrafico e assai smorzato.

Questo diventa un silenzio “punitivo”. In altre parole, si punisce l’altro per qualcosa che si ritiene ingiusto. Così facendo, si trasforma la propria frustrazione, la propria rabbia e delusione in un silenzio “rumoroso”, che si vede e, pertanto, si sente, al fine di far sperimentare all’altro una sensazione spiacevole.

Questa modalità viene definita “coercitiva” oppure “passivo-aggressiva”. Infatti, è una sorta di potere che l’individuo tenta di acquisire sull’altro senza esporre i propri risentimenti, senza proporre uno scambio. E’ un obbligato, cioè si toglie la possibilità all’interlocutore di sapere cosa sta accadendo, facendogli tuttavia sperimentare gli aspetti emotivi, rendendolo di fatto impotente.

Vi è una sorta di ricatto: ”Ti sei comportato così, allora io ti tolgo la  parola”. A pensarci bene, viene tolta la relazione. Di fatti, il silenzio popone un vuoto, non solo comunicativo, ma di contatto: state dicendo “non sono disponibile ad essere contattato da te”, solo che lo fate senza spiegazioni, mettendo l’altro in un ruolo di impotenza, non dando infatti la possibilità di difendersi.

 

Dialogo sempre e comunque?

Beh, sarebbe uno slogan abbastanza corretto. Ma non di certo applicabile in ogni dove ed in ogni quando.

Infatti, non sempre si ha la voglia di parlare se si è arrabbiati. È più che plausibile questa mancata disponibilità al dialogo quando si è delusi e frustrati. Però andrebbe comunque dichiarato.

Che male ci sarebbe a dire: ”Sono arrabbiato/a con te, ma adesso non mi sento di parlare. Dammi un po’, di tempo. Dopo però ne parliamo”.

Ecco, in questo caso si chiarisce di avere rabbia verso l’altro, ma di non essere in grado adesso di parlarne. In questo caso, però, è bene ricordare la reciprocità delle responsabilità. Infatti, chi riceve questa dichiarazione, non deve insistere, né mettere il muso, e rispettare il silenzio dell’altro. Chi dichiara di non voler parlare in un dato momento, si deve prendere la responsabilità di farlo al più tardi.

Alla fine, pertanto, si deve dialogare. Solo che bisogna farlo nel momento che per entrambi sia corretto.