Uno, nessuno e centomila: le maschere dell’Io - Psicologo Prato Iglis Innocenti

Uno, nessuno e centomila: le maschere dell’Io

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Grande Fratello, X Factor, The Voice. Talent  e reality show che si rincorrono nei canali televisivi come il gatto col topo. Un vortice di puntate, personaggi, luci, suoni, vincitori e vinti. Sembra una sala slot. Un caleidoscopio di ombre e luci, al cui centro mille maschere che tentano di giocarsi il centro del palcoscenico, ognuna con un ruolo diverso.

Tutto per guadagnarsi l’applauso del pubblico.

Cosa c’è di vero in tutto questo?

Ho avuto modo di vedere, nei diversi anni, alcune puntate di tutti questi show televisivi. Debbo dire che sono ben costruiti. Sono stato uno di quegli spettatori che nel 20000 vide le prime puntate della prima edizione del Grande Fratello. Allora, come oggi, lo criticai moltissimo: non mi piaceva l’idea di vedere tante persone chiuse in una casa, spiandole nel loro quotidiano.

Forse mi ero precipitato, un po’ in maniera snob, a giudicare un programma che avrebbe, da lì a poco, aperto un nuovo capitolo della nostra televisione (e non solo!).

Quello che mi ha sempre colpito in questi show è vedere i diversi personaggi al loro interno esibire, fino all’eccesso, le proprie emozioni. Donne e uomini che, sapendo di essere inquadrati, osservati, giudicati, ostentano in maniera ipertrofica i propri comportamenti, spesso senza nemmeno rendersene conto.

Maschere: esibire o esprimere

Purtroppo, ciò che avviene in questi programmi, così come in altri contesti televisivi, succede anche nel mondo reale.

C’è una differenza fra “esibire” ed “esprimere”. Nel primo caso si recita una “performance emotiva”, priva di una reale esperienza personale. Nel secondo caso, si espone il proprio Sé, la nostra identità emotiva.

Il termine ultimo di questa situazione coincide con l’indossare una maschera. Spesso, nel nostro contesto di vita, che sia in uno studio professionale, ospedale, azienda o nei programmi televisivi, le persone si sentono schiacciati dalla pressione di dover essere in un certo modo, a seconda delle aspettative degli altri.

Questo ci porta a “dover apparire” forzatamente in un certo modo.

Abbiamo tutti delle maschere da portare. Se ci pensiamo, ciascuno di noi vive il proprio quotidiano sfumando impercettibilmente da un ruolo ad un altro. In una stessa giornata, ad esempio, una donna è: madre, figlia, sorella, lavoratrice, casalinga, amica. Un uomo è: figlio, padre, marito, fratello, nipote, lavoratore, amico. Pertanto, ogni ruolo esprime un “pacchetto” di conoscenze, emozioni, pensieri, comportamenti diversi.

Come gestire tutto questo?

Il primo passo è rendersi conto che, dietro tutte queste maschere, esiste un volto. Il nostro.

Maschere vs. Volto

Il concetto di “volto” rappresenta ciò che siamo, sentiamo e pensiamo nel nostro intimo, indipendente dal contesto in cui siamo immersi.

Riconoscere il proprio Sé, il volto dietro la maschera, è fondamentale per costruire il nostro senso di identità. Quel senso di continuità che ci permette di riconoscersi al mutare delle situazioni. Ciò che siamo al di là delle pressioni esterne, dei ruoli che ricopriamo, delle aspettative degli altri.

Possiamo indossare una maschera, a seconda del ruolo in cui siamo. Ma questa maschera non dovrà mai essere “totalizzante”. Deve “poggiare” delicatamente sul nostro volto. È importante che vada a regolare i tratti del nostro volto, senza coprirli mai del tutto, senza distorcerne i tratti più significativi.

Se questo non avviene, il rischio è grande. Cominciamo ad immedesimarsi in quel ruolo come se non ci fosse più un Sé personale che diriga le proprie emozioni in maniera autonoma. Rischiamo di essere diretti da un “direttore esterno”, senza una partitura personale. Questo può portare a stati di ansia, senso di insicurezza e tono dell’umore basso.